Fondazione Ezio Galiano
dissolvere le tenebre della cecità con la luce dell'intelletto
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Eugenio Galiano L'iris blu, 1954
Eugenio Galiano, L'iris blu, 1954

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La Fondazione sui media

L'Ora Locale
del giugno 98

La lettera che il prof. Nicola Siciliani de Cumis mi ha scritto, subito dopo aver visto Al di là delle tenebre di Mario Foglietti nel TG7 dell'8 febbraio, mi è giunta inattesa e gradita.

Mario Foglietti è poeta e, credendo di raccontare le ore di lavoro antelucane del suo vecchio insegnante di filosofia che non vuole rassegnarsi al riposo, in realtà, nel libero gioco delle luci e delle ombre, canta con le immagini delle pietre e dei muri, delle vie e delle piazze, degli orti e dei giardini di Catanzaro il suo amore per la città.

Nei suoi servizi televisivi ora il soggetto è l'artista che da molti decenni vive ed opera lontano, ora è la gente dei paesi vicini che, pur nella povertà, pratica la virtù dell'accoglienza... ma sempre protagonista è Catanzaro, che egli vede, come nel caso del servizio dell'8 febbraio, addormentata nel sogno dei suoi damaschi d'oro per le ginestre di rupe lucenti nel sole e per l'opera delle maestre della seta alla Filanda; bella negli stretti e negli slarghi aperti al vento, nelle strade deserte di uomini e motori, nelle case basse e nei palazzi ingioiellati che dai davanzali e dai balconi fioriti versano profumi nella notte, nelle cancellate, merletti di ferro battuto con l'arte antica dei maestri del fuoco alle Forge.

Nella poesia di Mario Foglietti, ciò che il prof. Siciliani de Cumis coglie di me, del senso della mia vita, mi lusinga e vorrei fossero vere le risposte che egli dà alle domande che io, sempre più spesso, mi pongo nelle notti insonni mentre lo scanner, in un lampo di luce verde, ad ogni ritorno, trasferisce nella smisurata memoria magnetica del PC 4/5.000 caratteri del libro aperto che premo sul vetro.

Perchè sono al mondo? Perchè ho ancora tanta voglia di essere al mondo?

Il prof. Siciliani de Cumis, di me, dice: cecità come stile di vita, progettualità senza tempo, dilatarsi della prospettiva ben oltre la normalità del ciclo vitale. Io non trovo nel mio impegno di oggi nè il prodigio della progettualità di un diciottenne, nè quello di uno stile di vita del cieco che vede cose che i non ciechi non vedono.

So soltanto che l'idea di utilizzare la rete mondiale per donare ai non vedenti, che vorranno fruirne, i testi elettronici che ho memorizzato da quando le nuove tecnologie informatiche mi hanno consentito di leggere autonomamente quei testi che nella mia lunga giornata di scuola erano rimasti muti alla carezza della mia mano colma di rimpianti, è nata dal mio bisogno di pagare ai ciechi di oggi e di domani un debito.

Il debito che il diciottenne, quando era stato tentato di barattare con il nulla la vita che gli sembrava frantumata per sempre in giorni chiusi nel buio e senza domani, aveva contratto con i Ciechi che, da Louis Braille ad Augusto Romagnoli, avevano saputo aprire, anche per lui, le vie dell'istruzione, gli spazi del sapere e la prospettiva di un dignitoso lavoro su cui fondare la famiglia. Quel debito contratto con i Grandi Ciechi del passato ho voluto, in vecchiezza, pagare istituendo la Fondazione Ezio Galiano.

La quale, con i giornali: quotidiani, settimanali e mensili e con le opere di poesia e di arte, di critica e di letteratura, di scienze e di storia... tutte leggibili con la sintesi vocale o il display braille, potrà aiutare i ciechi italiani ad essere cittadini sempre più consapevoli, lavoratori sempre più preparati ed uomini sempre più liberi.

Il grazie che forse sorgerà spontaneo nel pensiero di qualche privo della vista che avrà tratto giovamento negli studi, nel lavoro o nella vita degli affetti, dei sogni e delle idee dai servizi della Fondazione vorrei fosse per i miei figli poichè io ho saldato il mio debito, essi, invece, con gioia, hanno accettato di dividere con l'ultima nata delle mie creature quel poco o quel tanto che mi sarà possibile lasciare di me.